Un  FORMICAIO  che  non  esiste  più


RIFLESSIONI

Si arriva sul posto lasciandoci alle spalle la strada comunale e camminando sui sassi, (forse loro sono ancora quelli triturati dalla grande macchina posta là sulla destra) Dentro il memoriale c’è , unico testimone a carico, il forno crematorio a 2 posti, sul lato sinistro è stato conservato il tavolo dove venivano sezionati  i cadaveri.

L’impressione nefanda che si prova deriva dal fatto che subito sulla destra, sulla sinistra e dietro il memoriale vi sono graziose villette dove è presente la vita quotidiana, in quel momento, da una di esse, giungevano molte voci allegre e di gioia per un matrimonio.

Noi  siamo entrati in silenzio con i nostri reduci, gli stendardi, le bandiere. Su tutto aleggiava di qua un silenzio  riflessivo e angosciante e di là un grande fracasso. Una  piccola  finestra dalle tendine variopinte guarda verso il forno crematorio, le cerimonie commemorative si svolgono tutte lì, su quel minuscolo terreno sassoso.

Le strade erano state chiuse preventivamente sulle due direzioni,  faceva molto caldo ma l’accoglienza della gente del posto è stata cordiale e sincera.: donne e bambini distribuivano fette di pane con sale in segno di ospitalità.

Gli abitanti di Gusen e di St. Georgen sono buoni e sempre sorridenti, per tutti c’è stato un saluto particolare e sincero. Infatti i ragazzi delle scuole hanno offerto i sassi di Gusen insieme a dei fiori . . . l’amicizia è scattata, tutti si sentono fratelli in questo piccolissimo lembo d’Europa.

Solo guardando delle vecchie fotografie del campo di Gusen ho potuto rendermi conto come i nazisti sapessero costruire, quasi avessero una bacchetta magica, un intero e vastissimo complesso industriale per estrarre il granito ma anche sbudellare i ventri delle montagne con una serie di gallerie comunicanti l’una con l’altra, con una superfice di  50.000mq.   Mai nessun campo di sterminio ebbe a cambiare così repentinamente  e radicalmente le proprie produzioni come avvenne per il complesso di Gusen;  ma poi tutto scomparve.

Furono subito trasportati dagli americani di Patton verso Ovest l’intero complesso di moderni macchinari che si trovavano nelle gallerie, furono  tolti i numerosi binari a scala ridotta, mentre i sovietici , in seguito, rasero al suolo gli hangar e le baracche.

Tutto ciò che era stato costruito in breve tempo con il sacrificio di migliaia di deportati venne  annullato e sulla zona scende il silenzio.

Con la nuova sovranità austriaca la foto di tre cittadini che osservano le baracche,  che guardano il grande frantumatolo di pietre, (il più grande in Europa), le colline sventrate, le cave, tutto  svanì nel nulla.

Così sembrerebbe, ma gli abitanti di Gusen hanno sofferto tremendamente, la loro vita, simile a quella dei deportati, è stata prevaricata violentemente fin dal 1938, quando giunsero in quello sconosciuto paesino, affacciato su un ansa del Danubio, i responsabili nazisti delle SS:In paese c’era serenità e lavoro, tutti avevano una vita tranquilla e tutto fu cambiato,  il terrore sovrastò quelle colline.

Durante la notte del 5 al 6 maggio 1945 era stato stabilito che i detenuti di Gusen I e II  (40.000 persone) più gli abitanti di Gusen e di St. Georgen avrebbero dovuto morire nelle gallerie chiamate Kellertstan e Bergkristall, minate con 24,5 tonnellate di dinamite.

Il delegato della Croce Rossa (CICR) si reca a S. Georgen e richiede al borgomastro di aprire le barriere anticarro sulle strade, gli americani sono già a Urfahr con una piccola avanguardia della 2° div. stanno arrivando alcuni carri armati pesanti, altrettanti leggeri, e 30 soldati, dietro cui c’è un reggimento che attende ordini da Linz. Sulla macchina del delegato CRI sale un ufficiale americano e la Opel arriva al paese di St. Georgen dove la popolazione accoglie l’ufficiale come un liberatore, stessa scena nel paese di Gusen. La macchina salirà poi alla fortezza di Mauthausen.
Nel medesimo momento nei campi di Gusen I e II° le SS rimaste, prima fecero  dei falò con le loro armi,  poi fuggirono  così come i deportati che accortisi della libertà, ebbri di fame  si riversarono  nei campi e  bussarono  nelle fattorie circostanti per procurarsi cibo e vestiti.  La gente del luogo fu così obbligata a cedere abiti alle SS del campo  così come invece fec molto volentieri per gli ex deportati. Situazione simile, ma finalità diverse.

Il 7 maggio arrivarono in zona le truppe del generale Patton e a St. Georgen venne insediato un locale governo militare con il 260°regg. di  fanteria americano.


Un bambino di Gusen così ricordò quel giorno

Molti abitanti di Langenstein e di Gusen erano sui marciapiedi e aspettavano gli “Ami” Passò dinnanzi a me una jeep con il mitragliatore incorporato, il secondo era un carro armato da ricognizione poi ancora una jeep”.

 
Rapporto del 41° squadrone di cavalleria del serg. Kosiek

“Vedemmo avanzare una macchina con una croce rossa sul cofano, dentro due capitani delle SS che ci informarono che, al di là del ponte di S: Georgen vi era un campo di prigionieri. Dopo molto tempo, perché quella non era la nostra missione, avemmo l’ordine di liberare quel campo”

 
Dalla lettera del soldato Daniel Garofalo

“I servizi segreti e il corpo aereo di ricognizione già sapevano dell’esistenza di tali campi, ma la truppa era completamente impreparata a quella terribile visione.  Mi trovavo sulla prima jepp insieme ad altri miei 5 compagni, c’era anche Fred, un mio caro amico di Seattle….  Vedevo con brividi d’orrore i corpi estenuati dei prigionieri, vedevo corpi accatastati ovunque, i miei occhi vedevano solo cadaveri, cadaveri e ancora cadaveri… Freddy si era messo un fazzoletto sulla bocca, poco dopo rigettò….

Ci fermammo proprio davanti all’entrata delle gallerie di Berkristall e fummo fotografati

 


UN INCONTRO ECCEZIONALE

Maggio 2005. Mi trovavo a Gusen per la terza volta, in occasione delle celebrazioni della liberazione del campo, quel giorno era presente, sotto una grande tettoia dato che pioveva a dirotto, una delegazione americana di soldati che avevano liberato il campo. Alcuni erano su sedie a rotelle, altri ascoltavano impettiti e silenziosi i discorsi… mi avvicinai a due di loro ed ebbi la gradita sorpresa di parlare con un italo  americano di nome Daniel Garofalo di Seattle….. lui era il soldato della fotografia più famosa scattata all’entrata del campo di Gusen, accanto a lui  l’americano che guidava il carroarmato che entrò in Gusen insieme alla Jeep.

La vita era stata benigna con loro, ma mi raccontarono che quello che videro dentro il campo non lo avevano mai dimenticato, avevano avuto delle crisi depressive, erano stati rimpatriati.
Specialmente il serg. Garofano mi bisbigliò a bassa voce “che la guerra aveva portato loro tanto dolore e sofferenza, incubi notturni, crisi depressive profonde e di lunga durata….un suo amico, Fred, pochi giorni dopo essere entrato nel campo di Gusen si era suicidato, una notte….poi il governo militare aveva inviato con urgenza un aereo con decine di psicologi per seguire le truppe che avevano liberato i campi nazisti.”

 
Ma fin dal 1943, la ricognizione aerea americana aveva osservato le attività edili a Gusen, scattando fotografie a intervalli regolari. Ma i servizi segreti si concentravano solo sullo sviluppo e lo spostamento dell’industria bellica. Comunque il complesso di Mauthausen, Gusen, S. Georgen, non fu mai bombardato…

 
I resti del lager incominciarono a sparire subito dopo la liberazione, le baracche furono sacheggiate perché la popolazione locale si serviva del legno come materiale da costruzione.

Quasi subito furono poste due lapidi commemorative dove sorgeva il crematorio. Dopo il ritiro degli alleati, il luogo fu venduto all’edilizia privata che voleva abbattere anche il luogo del forno crematorio, ma alcuni deportati italiani riuscirono a comprare il  piccolo lotto di terreno che circondava il crematorio e lo consegnarono al comune di S. Georgen, che solo nel 1961 potè dare l’autorizzazione per la costruzione del Memorial.

Questo fu progettato e attuato da due ex deportati di Gusen, gli architetti Belgioioso e  Banfi, e inaugurato nel 1965.

Un deportato italiano ricorda: “La fame mi lacerava le budella come un avvoltoio e lo stomaco mi si contorceva per i dolori orribili, masticavo catrame o carbone…avevo le allucinazioni, avrei potuto commettere le peggiori crudeltà, anche verso un amico, un familiare…”

 
Ma ciò che colpisce e rattrista tutti e che non si riesce a comprendere è che l’edificio d’ingresso al campo, il Jourhaus, dove ebbe luogo il martirio di Padre Gruber, sia stato venduto e poi trasformato in abitazione privata che il proprietario odierno protegge contro i visitatori.

 
Il sindaco di Langenstein recentemente ha ammesso: “Dopo molte discussioni fra di noi, abbiamo voluto dare un contributo nuovo per il futuro della nostra patria, per la pace e la tolleranza e contro ogni forma di razzismo”


Posizione dei campi di concentramento


Gusen oggi


Pianta del campo


Comunicazione per  il crematorio


Lettera al crematorio


Dopo la liberazione


Miniera di Bergkristall


I carrelli per trasporto minerale


Gli Americani


L'americano che ho incontrato


L'incontro a Gusen