Per terminare.

Tante sono le idee per chiudere questo mio spazio personale sul computer: avrei potuto scrivere parole confortanti verso il futuro che aspetta le nuove generazioni, ma preferisco  invece, affrontare un argomento che deriva direttamente delle esperienze nelle scuole, a stretto contatto con i giovani e i giovanissimi.

Sono essi il nostro futuro, è vero, ma siamo sicuri di porgere loro un mondo migliore ?

I ragazzini delle scuole elementari assorbono moltissimo ciò che diciamo loro e sono capaci di interiorizzare le idee, sanno sviluppare un sano ragionamento che divide il mondo in buoni e cattivi, e tutti, entusiasticamente, diventerebbero difensori dei più deboli e dei più derelitti, sanno mettersi nei panni dei più deboli e portar loro tante cose nuove e belle come la giustizia e la solidarietà. Ma poi si entra nel mondo delle scuole superiori e forse, per mancanza anche della presenza di una famiglia unita, questi ragazzi diventano cinici e menefreghisti, cercando di ottenere quei simboli che li autorizzano ad entrare in una certa cultura moderna, dove però i  simboli fondamentali sono dimenticati.

Per fortuna poi questi nostri ragazzi si dimensionano nuovamente ed entrano nel mondo degli adulti, e maturando, comprendono i veri valori della vita.

Dentro di loro è rimasto qualcosa ascoltato nella loro infanzia, tornano alla mente certi racconti, ricordano gli insegnamenti delle maestre più sensibili, la nuova generazione porta con sé buoni semi che daranno ottimi frutti.

Qualche giorno fa sono stata invitata a presenziare all’inaugurazione di una piccola piazza in un paesino arroccato su una montagna che domina la Val Canonica: le autorità del borgo di Cevo,  con un sindaco giovanissimo ed emozionato, che aveva accanto un ex sindaco ormai cinquantenne, hanno voluto intitolare il luogo alla “MEMORIA” degli eventi subiti dal paese nella seconda guerra mondiale, ricordando particolarmente tre deportati periti nei lager nazisti.

Uno accanto all’altro, nella piccola e raccolta piazzetta “della Memoria, abbellita da un monumento e da una scultura lignea opera del Cevese Gian Mario Monella, hanno parlato a tutti i cittadini mentre numerosissime bandiere sventolavano al vento nella calda mattinata di luglio.

Il sindaco, dopo vent’anni di duro lavoro, ha voluto passare il testimone a un giovane: vi è stato il passaggio generazionale e fin quando si riuscirà a passare queste esperienze, siamo sicuri che il mondo vivrà una pace stabile e forse, sicura.

Ricorrendo, nel 2007, l’anno europeo della Shohà, la mia testimonianza nelle scuole si è fatta più intensa, potendo anche arrivare alla Università di Brescia.

Un immagine terrificante è sempre nella mia memoria: è una testimonianza del 25 giugno del 1944 ad Auschwitz:
“Dai magazzini del campo effetti, il Canada, che si trova fra i crematori III e IV, sono portate via carrozzine vuote. Questo macabro corteo è  in fila di cinque ciascuna lungo la via che porta dai crematori alla stazione ferroviaria. Il trasporto dura oltre un’ora, anche i fantasmi dei neonati soppressi deve procedere come sempre.”

Quell’immagine mi perseguitava, quei fantasmi non avevano mai avuto voce, io non ero un fantasma, io ero di carne e di ossa, e potevo parlare a nome loro, sentì questo come un dovere e così nacque un mio progetto, che ho potuto realizzare.

Questo è avvenuto grazie alla mia meravigliosa famiglia, che mi ha dato spazio e tempo per attuarlo. Un progetto che  consiste nel raccontare ai giovani e ai giovanissimi, gli orrori della guerra attraverso le scarse testimonianze di bambini che vissero quel periodo come vittime delle persecuzioni,  come rifugiati, come clandestini, come schiavi lavoratori. Ho voluto portare avanti il ricordo dei neonati nei lager, quasi due milioni di vittime, e solo due neonate sopravissute.

Solo con il grande affetto di mio marito Aldo, e dei miei figli Stefano e Sara, nonostante nelle mie ricerche sprofondassi sempre in un mondo di atrocità e di morte, mi ritrovavo poi sempre circondata da serenità e dai  piccoli problemi quotidiani, che mi coinvolgevano e mi facevano sentire una persona viva,  e che apprezzava, ogni giorno di più, la vita e tutto ciò che di bello mi circondava.

Tutte le sere sono abituata a guardare lo spazio che ci circonda e qui vedo milioni e milioni di piccole luci splendenti, so che sono quei neonati dei lager ma anche quelli che vengono gettati nei cassonetti. Tutti hanno avuto un dono, una luce speciale e tutti li potranno vedere e ricordare. . .